Mio padre mi racconta sempre di un nostro lontano parente che si chiamava Olindo.
Era nato alla fine dell’800, in un piccolo paese dell’Emilia che si chiama Scandiano.
Non si era mai mosso dal suo paese, ma veramente mai!
Tutta la sua vita si era svolta in un raggio di 5 chilometri.
La sua giornata si componeva del lavoro nei suoi campi assieme alla sua famiglia.
Si alzava con il sole e andava a letto quando calava.
La sua unica distrazione era andare a pescare in un fiume di fianco a casa sua, o in rarissime occasioni, durante la sagra, andare a ballare nella piazza del paese il liscio con la moglie.
Mio padre mi dice sempre che era la persona più tranquilla, serena e felice che abbia mai conosciuto.
Cosa pensate voi di questo mia parente?
Era realmente felice a vostro giudizio?
E per adesso, come direbbe Lucarelli, Olindo lo lasciamo li.
Tutti vogliono essere felici, ma non sanno come, e quel che peggio, non sanno nemmeno cosa voglia dire PER LORO.
Questo “per loro” è la vera chiave per potere fare il salto di qualità!
La gente, se fa un percorso, passa attraverso 4 fasi:
1. Totalmente inconsapevole.
2. Ho capito che qualcosa non funziona, ma non so cosa sia.
3. So cosa è, e mi devo prendere la responsabilità di cambiare.
4. Cambio.
Prima Fase
È quella del mio lontano parente che era rimasto in una situazione molto basilare.
Quasi di antico agricoltore di 10.000 anni fa.
Non so se era realmente felice.
L’ho spero sinceramente per lui.
Può anche essere.
Oggi questa possibilità la vedo abbastanza remota.
Siamo talmente immersi in una società piena di informazioni, di stimoli, di attività, che il modello “buon primitivo” è quasi impossibile.
Siamo talmente “cittadini del mondo” che tutto influenza tutto.
Ho visto oggi un post che diceva: “Un cinese in Cina mangia un pipistrello, e dopo un anno mi trovo Brunetta ministro della Pubblica Istruzione”.
L’effetto “farfalla” è talmente onnipresente che è impossibile, o quasi, isolarsi per non essere influenzato.
Seconda Fase
È la fase della confusione.
Qui dipende come me la vivo; se in forma passiva o attiva.
La forma passiva è quella della maggior parte delle persone: ”Percepisco che qualcosa non va, ma sopravvivo comunque e quindi per quale motivo farmi delle domande? Va bene così!”
Come strategia potrebbe andare bene, come andare male.
Se ti va bene te la sfanghi come Olindo regredendo alla prima fase e sopravvivendo fino alla fine dei tuoi giorni.
Ma in genere la legge di Murphy ci mette sempre lo zampino e poi sappiamo come va a finire.
Quel qualcosa che “non va” dopo un po’ esce in tutta la sua importanza e ti incasina tutto.
Molto meglio cercare di essere curiosi, agire e fare tutto il possibile per fare chiarezza il prima possibile con con quella cosa che è ancora semmai piccola, in fase embrionale, e siamo ancora in tempo per potere cambiare senza fare grossi danni.
Questo vuole dire leggere, informarsi, partecipare a corsi o affidarsi a professionisti che ti possano fare emergere il “cosa” in modo chiaro per farci andare ad un livello superiore.
Terza Fase
La fase del lavoro.
Ora sappiamo cosa è, ma ci dobbiamo prendere la responsabilità di cambiare.
È difficile, doloroso, qualcuno si farà male.
La prima cosa che ci viene in mente è non farlo.
Mettiamo la testa sotto la sabbia e facciamo finta di niente, regredendo alla fase 2, ma in forma più dolorosa perché ora sappiamo cosa c’è che non va.
È la fase dove la gente si lamenta, e sappiamo quanta gente c’è in giro che si lamenta di tutto, arrampicandosi sugli specchi, dando la responsabilità della loro infelicità a tutti tranne che a loro stessi.
È la fase dove dobbiamo postare sui social ogni serata in discoteca con gli amici, ogni singolo piatto che mangio in un ristorante esclusivo, ogni vacanza in spiagge caraibiche, per mostrare quanto sono felice.
Una sorta di iniezione di antidolorifico che mi consente di vivere in un limbo emotivo.
Lo so che è difficile, anche molto difficile, ma pensa a lungo termine.
Cosa ti accadrà tra venti anni se non cambiassi?
Ma a quel punto la situazione potrebbe essere così radicata e profonda che tornare indietro vorrebbe dire lasciare sul campo di battaglia morti e feriti.
Penso, che ne so, a insistere in un matrimonio che chiaramente non funziona, per poi dovere gestire dopo venti anni un divorzio con figli e divisione dei beni.
Penso ad un lavoro che non ti appartiene, che non ti fa sentire realizzato e che ti da un sacco di problemi.
Cosa vorrebbe dire lasciarlo, perché saremo totalmente esausti, dopo venti anni e rimettersi sul mercato del lavoro a 50 anni?
E potrei continuare con un sacco di altri esempi.
Quarta Fase
La soluzione.
Ora sono alla fine del mio percorso.
Ho capito, accettato, mi sono preso la responsabilità e ho fatto la mia scelta.
Questo a mio avviso è il vero, unico percorso per la felicità.
Non è qualcosa che ci cade in testa, che ci arriva, ma è un risultato di un processo soprattutto interiore.
Come detto prima forse Olindo era felice, ma lo era in forma totalmente inconsapevole.
La vera felicità è sempre una scelta, e lui questa scelta non l’aveva fatta; gli era capitata.
Forse la situazione, la storia, l’ambiente si erano scordati di lui, ma oggi questa inconsapevolezza non può essere attuata nello stesso modo: ci stritolerebbe.
So di persone che partiti da un piccolo paesino si sono laureati, hanno lavorato per anni in grandi aziende a Londra, hanno gestito persone e patrimoni e da un giorno all’altro hanno mollato tutto, hanno preso una casa in montagna senza riscaldamento, senza luce e vivono facendo formaggi di capra; e sono felici.
So di persone figli di miliardari che a venti anni si sono suicidati.
Essere felici significa non avere, ma essere ed essere può esserlo solo attraverso un percorso.
Buon viaggio amico o amica.